Beniamino Servino nasce a San Giuseppe Vesuviano, nel 1960, studia architettura alla Federico II di Napoli dove si laurea nel 1985.
Vive a Caserta, dove nel suo studio sviluppa un lavoro che fugge dal convenzionale. Produce intensamente immagini che non possiamo, cadendo in facile tentazione, semplicemente chiamare disegni, come li intendiamo nell'ambito dell'architettura. Queste immagini sono divulgate e non sono ristrette all'ambito dello sviluppo del singolo progetto o dell'opera costruita: compongono delle serie, libri ed una vera teoria dell'architettura.
La tecnica di Servino é variegata e ha essa stessa un interesse artistico. Facendo uso del disegno, ma non solo, sono immagini in cui esiste una relazione con il progetto, ma non é semplice e ne diretta. Questa relazione é mediata da un discorso, che colloca le immagini in un complesso quadro con elementi autobiografici e visionari (non pre-visionari).
Una maniera personale di immaginare il presente, con un vocabolario proprio, fatto di memoria e desiderio. Ma anche di ironia, parodia, caricatura, distopie...
La divulgazione di queste immagini attraverso le reti sociali, specialmente Facebook, rappresenta una caratteristica - sempre più comune- che ci potrebbe dare una chiave di lettura per capire la natura di queste immagini e il tipo di vincolo che hanno, o che potrebbero avere, in modo crescente, con l'architettura, con la sua produzione e con l' atto di progettare.
Il lavoro di Servino esemplifica un insieme di trasformazioni attraverso le quali passa il processo di rappresentazione da e nell'architettura, aldilà di un questione strumentale: grafica o qualcosa di equivalente.
Operando una distanza tra concetto, rappresentazione e sua analisi in un modo nuovo ( in una prospettiva storica), il lavoro di Servino si concentra, in parte, sulla questione di come la rappresentazione, nello specifico, l'atto di progettare, più in generale, superino le condizioni di produzione dell'architettura, quasi fino a prescindere dalla stessa ( che non vuol dire allontanarsene), trasformando e rafforzando il processo progettuale.
La rappresentazione emerge come volontà, ricerca, speculazione, desiderio, più che come strumento di immediata applicazione, con intensità e frequenza maggiori, disegnando il quadro attuale del ruolo della "comunicazione architettonica" che, mai come adesso, si presenta come un nuovo territorio.
Le varie lingue dell'architettura (parola, disegno, modellazione, costruzione) alimentano la irrinunciabile questione della simbiosi tra architettura e la sua rappresentazione.
Se, con il digitale ( software parametrici etc.) già abbiamo qualcosa di simile a quel quadro di comunicazioni molteplici, perché esiste sia una facilità strumentale nella rappresentazione tecnologica, e anche una facile diffusione delle immagini, potremmo considerare l'esempio di Servino, come un altro percorso, rispetto a ciò che caratterizza la contemporaneità?
Nella produzione di Servino, il disegno costruisce un ricchissimo repertorio; evocando le sue (di Servino) memorie e desideri, ma portandolo più avanti ( il disegno), offrendoci quello che ha elaborato. La sua rappresentazione é quella del pensiero, e non del singolo disegno in se. L'architettura é autobiografica per la sincronicità di quello che si vede, di quello che si vede nella contemporaneità delle sovrapposizioni. Come Servino afferma, la memoria elabora immagini continuamente, producendo pensiero.
Servino parte da forti impressioni/memorie della sua terra. Si alimenta di immagini che provengono dalla fonti più diverse; nel suo repertorio le immagini si toccano,sono corrotte, corrompono, si mescolano, sono trasfigurate, non c'é purismo, c'é sincretismo.
Nell'uso intenso che Servino ne fa, il disegno é un aforisma, di comunicazione rapida. Egli osserva, fissa immagini e le usa indifferentemente nella produzione dei suoi disegni. Molti dei quali, fatti con pochi tratti, rapidi collages, semplici corruzioni delle pre-esisitenze.
Disegni su disegni, molti disegni...
La forza della memoria,che é presente anche nella sovrapposizione degli strati accumulati nella città, comprime tutto sincronicamente in una orizzontalità del presente. Cosi, per Servino la forma non segue la funzione, segue se stessa. Con la forma bisogna arrivare al monumentale che esprime la coscienza collettiva, ma anche la creazione individuale, non é differente, porta al collettivo.
Si tratta di monumenti senza funzioni, che ammettono costanti aggiornamenti, afferma Servino.In questo modo, il progetto non interpreta, ma interviene sul luogo. La qualità del progetto non starebbe nella sua capacità di interpretazione ma nella forma del progetto stesso.
Possiamo sottolineare alcune espressioni o concetti che sintetizzano il lavoro di Servino, come: L'antico non esiste: tutto si schiaccia nel presente; L'architettura é sempre autobiografica;Il disegno é un aforisma (comunica rapidamente); La necessità del monumentale nel paesaggio dell'abbandono; Autonomia reciproca tra architetura e paesaggio ( il mimetismo é falsità).
Servino riflette e teorizza in modo più diretto pubblicando vari libri, come: Intrecci. Note sul rapporto tra committente, progettista e esecutore nella produzione dell'oggetto architettonico (Priulla. Palermo, 1997; organizzatore); CE 900. Guida all'architettura del 900 in provincia di Caserta (Ordine Architetti Caserta, 1999; organizzatore); La citta' eccentrica. Esemplificazione del sistema urbano-territoriale della provincia di Caserta (Nuova Arnica. Roma, 1999; organizzatore); Elementare-superficiale. Album di architetture 2007-1985 (Skira, 2008); Architectura simplex (LetteraVentidue, 2012); Necessita' monumentale/monumental need (LetteraVentidue, 2012) e Obvius – diario [con poco scritto e molte figure] (LetteraVentidue, 2014).
Servino ha ottenuto vari premi, tra gli altri: per il Padiglione nella casa a Pozzovetere ha ricevuto l’International Award architecture in Stone 2007, dopo il Premio di architettura Arch&stone'08: architetture in pietra del nuovo millennio, e The Special Honour del German Natural Stone Award 2011.
Prima di presentare l'intervista con Servino, un piccolo estratto del suo ultimo libro ci da una buona idea di ciò che alimenta il suo lavoro.
“I miei disegni/le mie immagini
non sono delle visioni.
I miei disegni/le mie immagini
sono dei progetti.
Anche quando la dimensione monumentale potrebbe far pensare a semplici speculazioni teoriche
questi [i miei disegni/le mie immagini]
sono dei progetti.
Usano la forma e il linguaggio
in misura definita. Non schemi.
Quando intervengo sull’abbandono non lo faccio con il cinismo [e la distanza] del reporter.
Lo faccio con un alto coinvolgimento emotivo
dall’interno
desiderando conservare le tracce
e mostrando una via di riscatto
dall’interno.
La memoria non è euristica [non cerca prove alla sua oggettività].
La memoria fonda una vita parallela/possibile/verosimile.
La memoria ci fa convivere con un nostro avatàr.”
Benaminio Servino, Obvius, p. 46.