SH/FC: Cosa ti ha spinto a studiare per diventare architetto? Quali sono stati i tuoi maestri e perché? Il tuo lavoro, in che modo e misura é stato influenzato da questi maestri? In quali aspetti la città o il territorio in cui vivi ha contribuito per la tua specifica e personale comprensione dell’architettura?
BS: Da bambino andavo spesso dai miei nonni, a San Giuseppe Vesuviano. Spesso mi intrattenevo per ore fuori dalla casa, in un lungo cortile dove si aprivano anche altre case. Con un pozzo al centro. Spesso, lì, c’era un uomo, piccolo di statura ma massiccio – col baricentro basso come un calciatore-, che con una sua squadra di 2-3 operai costruiva muri di confine e piccole case matte. Usava la pietra di tufo. Tutta la zona vesuviana, ma in generale tutta l’area, ne è ricca, è ricca di tufo.
Il tufo [la pietra di tufo] è il materiale da costruzione a me più familiare. E’ [il tufo, la pietra di tufo] il mattoncino della Lego con cui sono costruiti gli edifici della mia memoria [infantile, adolescenziale]. Interi pezzi di insediamenti vesuviani prima e casertani poi mi sono apparsi attraverso superfici di tufo. [Con varie rifiniture, trattamenti, orditure.]
Ricostruisco la parete di tufo della mia memoria [che corrisponde alla parete di tufo che desidero]. La memoria conserva i desideri.
BS:L’uomo dal baricentro basso si chiamava ‘Ntonio ‘o tzo-tzo [ognuno, da quelle parti, aveva un nick name. Il più delle volte appioppato a una caratteristica fisica. Il nostro aveva, infatti, un difetto di pronuncia che gli faceva suonare le poche parole che usava come se avesse una polpetta –o anche una zeppola- in bocca]. Ecco il mio primo maestro è stato ‘Ntonio ‘o tzo-tzo.
SH/FC: Cosa marcheresti della tua formazione di architetto?
BS: L’architetto impara la grammatica e racconta la sua storia.