SH / FC: Cosa ti ha spinto a studiare per diventare architetto?
CG: Siamo tre fratelli uno è ingegnere, uno avvocato, io sono diventato architetto perchè ero l’unico ad avere la passione per il disegno che mi ha trasmesso mia madre e per la storia dell’architettura ripresa a mio padre che sin da piccolo mi portava con lui nei suoi viaggi di studio. Poi ero molto affascinato dalla biblioteca di famiglia perchè i miei genitori sono professori universitari- oggi in pensione- rispettivamente di tecnologie e di storia dell’architetttura.
SH / FC: Cosa marcheresti della tua formazione di architetto?
CG: L’abitudine a stabilire sempre una coincidenza tra teoria e progetto in modo che l’uno si specchi nell’altra facendo in modo da poter comunicare i due aspetti con chiarezza.
SH / FC: Quali furono i tuoi maestri e perché? Il tuo lavoro, in che he modo e misura é stato influenzato da questi maestri?
CG: La biblioteca e i viaggi familiari innanzitutto e poi, volendo fare il progettista, visto che i miei genitori erano studiosi di architettura ma non particolarmente operativi, ho cercato di rubare qua e là qualche cosa che mi interessava ai professori che quando ero studente insegnavano a Napoli. L’ornamento a Riccardo Dalisi, il dominio della materia a Ezio Bruno de Felice, la potenza a Nicola Pagliara, la misura a Marcello Angrisani, l’ideazione dello spazio al mio relatore di laurea Michele Capobianco. Poi, dopo la laurea, durante il PHD svolto a Roma l’importanza della dimensione sociale dell’architettura da Carlo Melograni, la forza scenografica da Costantino Dardi, nei soggiorni di studio e conferenze negli Stati Uniti ho provato a mutuare la conformazione araldica dello spazio da John Hejduk. La nettezza di alcune convinzioni che sono state un vero e proprio faro nella mia attività di ricerca architettonica quali la necessità di stabilire un rapporto tra poche idee guida e la loro collisione con l’autobiografica la devo a Franco Purini di cui sono stato assistente e a cui ho molto provato a rubare il mestiere.
Rispetto alla influenza di questi maestri nel mio lavoro... Mai come guida o rassicurazione per scelte esperessive, sempre cercando di capire come ragionavano o sragionavano e provando a prendere temi e modi che avrei potuto trasformare in mie modalità compositive.
SH / FC: In quali aspetti Napoli ha contribuito per la tua specifica e personale comprensione dell’architettura?
CG: Napoli è la regina della commistione, è una città dove si sono susseguite molte tracce e proprio questa sua condizione di mescolanza mi ha abituato a lavorare senza mai cercare una purezza impossibile ma amando l’imperfezione fino a provare a trasformarla in bellezza anarchica ed elegante.